INSALATA PIEMONTESE


Ljudmila Burkina

Siete certamente già stati nell’Italia classica? E forse più di una volta!? Allora è il momento di abbandonare i percorsi turistici e buttarsi alla scoperta dei sapori decisi e dei gusti intensi. Si va in Piemonte, a celebrare il tartufo, a bere il barolo e sciare. “Il piede della montagna” La nostra piccola compagnia internazionale, per niente composta da snob pazzi e nuovi ricchi spendaccioni, è andata in Piemonte principalmente con lo scopo di… mangiare. Il signor Filippo Giaccone, amico di miei amici, la scorsa estate ha aperto un ristorante. E così abbiamo deciso di “ispezionarlo”, in coincidenza con una breve visita nella stagione del tartufo bianco. Non è vietato vivere bene!… Dall’aeroporto di Milano Malpensa fino al paese o, come dicono là, al Comune di Albaretto-della-Torre ci vogliono poco più di due ore in auto. Questo è stato sufficiente a stancare i miei esigenti compagni di viaggio con domande sull’ampio paesaggio fuori dal finestrino – io stesso sono in Piemonte per la prima volta. Iniziamo dal nome. Piedi – ноги, monti – горы dunque, il Piemonte può essere tradotto come “ai piedi dei monti” o, per dirla in breve, “pedemontano”.

I monti là sono su tre lati: a sud c’è l’Appennino Ligure, a nord e a ovest ci sono le Alpi. È semplicemente il paradiso per gli sciatori e i snowboarder. Tra l’altro, sulle pendici innevate di Sestriere si sono svolte le Olimpiadi invernali del 2006. Le migliori montagne possono essere solo le colline piemontesi, dove i vigneti sono ben disposti, dove ci sono numerosi paesetti, che in Italia chiamano borghi, sono qualcosa a metà tra una città, un paese e una fortezza. È grazie ai borghi, con le loro cattedrali gotico-romaniche, ai castelli medievali e ai giardini paradisiaci che i viaggiatori curiosi si precipitano in Piemonte, in qualsiasi periodo dell’anno. E, naturalmente, per visitare il pezzo forte – Torino. Oltre Torino Torino – ex residenza dei reali Savoia, è la città in cui effettivamente è nato lo stato unitario italiano. Ed è anche il luogo di nascita dell’industria automobilistica italiana: l’ultima lettera della sigla FIAT indica esattamente il nome della città. Di solito si trovano due ragioni principali che spingono a venire qui. Una è che a Torino c’è una famosa reliquia cristiana – un sudario di quattro metri di lino, in cui, secondo la leggenda fu avvolto il corpo di Gesù appena rimosso dalla croce, l’altra è il cibo eccezionale. Noi volenti o nolenti, appartenevamo al secondo tipo di pellegrini, la Sindone, sulla cui autenticità ancora si discute, viene esposta al pubblico di tanto in tanto e non a lungo (l’ultima volta – nel 2000 e 2010), ma i ristoranti di alta cucina sono aperti praticamente tutti i giorni. Inoltre, Torino è la mecca dei dolci: si è guadagnata lo status di una tra capitali mondiali del cioccolato con la produzione di un proprio marchio di cioccolato: “i cuneesi” e “il gianduia”. Un bonus inaspettato E qui dobbiamo fare una piccola digressione lirica. D’un tratto, per strada, facciamo mente locale: Filippo ci aspetta per le otto – ceneremo da lui. Ma dato che c’è ancora tempo, e un maniaco della buona cucina per un buon piatto può fare mille miglia… nella direzione opposta, a est, c’è la regione Emilia-Romagna, la provincia di Parma. “Ma perché?” – mi stupisco. “Da dove altro pensi provenga il prosciutto di Parma?” – Si sorprendono miei amici. E così, un’oretta più tardi, parcheggiamo nella cittadina di Zibello, sulle rive del fiume Po, per uno spuntino leggero. La Trattoria si chiama La Buca (via Ghizzi, 6, Zibello). È uno strano nome, significa: “fossa”, “buca” o “trincea”. A chi lo dici fa ridere: abbiamo pranzato nel “Buco”! Ma no, c’è ancora un altro significato: “la cantina”. Ed ecco, in questa antica “trincea” alimentare, dopo aver brindato al successo del nostro viaggio, ci siamo lanciati con avidità sulle specialità locali – salumi e formaggi. “Il clou” in tavola – il famoso Culatello di Zibello, prodotto dalla coscia posteriore del maiale. “È buono, ragazzi?” – si interessa l’energica signora Miriam Leonardi, proprietaria del locale. Siamo solo riusciti a bofonchiare qualcosa in risposta… La festa del Tartufo In Italia non si riesce a trovare una sola città o piccolo paese di campagna che possa ammettere che la propria cucina sia in qualcosa inferiore a quella del vicino. Eppure, gli intenditori in particolar modo distinguono la cucina piemontese, evidenziando la sua unicità, la raffinatezza, prendendo atto di quell’amore vero e di quella passione, notando con quale ossessione, quasi fanatismo, qui si prepara da mangiare, così come si cura l’industria alimentare e la produzione di alcolici. Non sorprende che quasi in ogni zona di aperta campagna o in collina, in luoghi in cui non ci si aspetta altro che nebbia, improvvisamente si trova un ristorante degno di stelle Michelin.

Dopo aver passato una serie di paesaggi da cartolina, alla fine raggiungiamo lo scopo principale del viaggio – nel già citato paesino di 250 abitanti [Albaretto della Torre n.d.t.], dove in via Umberto, 12 Filippo ha aperto il suo ristorante, chiamandolo modestamente “Filippo” (www.filippogiaccone.com). In realtà, tutto è cominciato nel 1938 quando il nonno dell’attuale proprietario ha preso in gestione la taverna di caccia dello zio. In seguito la gestione è passata a uno dei suoi figli, Cesare, padre di Filippo, che “Tutti lo conoscono in Piemonte”. L’etichetta di oste di campagna sembrò stretta a questo famoso chef dopo la formazione nelle scuole di cucina. E l’istituzione della famiglia (allora si chiamava “Angolo di Paradiso”) è rimasta appesa alla porta. Il ristorante è stato fatto rivivere da Filippo, che a suo tempo, come suo padre, aveva orgogliosamente portato la bandiera della cucina italiana nel mondo, ma gli sono terribilmente mancate le colline native. Sapete che cosa ci ha mostrato prima di tutto il padrone del “ristorante”, quando abbiamo finalmente varcato la soglia di “Filippo”? Un tartufo bianco di notevoli dimensioni, proprio il “Tartufi”, o come si dice in dialetto piemontese “trifola”, preso da un fornitore affidabile. Proprio questo fungo – non tutto, ovviamente! – abbiamo potuto mangiare oggi, anzi, degustare, aggiungendolo a molti piatti diversi – dall’insalata al coniglio, che già stava cuocendo allo spiedo. Il tartufo, questo anonimo abitante sotterraneo, è dotato di proprietà magiche, è capace di trasformare un qualsiasi piatto povero – come la pizza, la pasta, la polenta, gli gnocchi, il risotto, o semplicemente un pezzo di schiacciata – in un alimento prezioso, come la nostra vita. E con tanto sapore! È sufficiente aggiungere alcune scaglie di tartufo fresco anche sulla polenta, o sulla frittata, o sulle patate bollite tritate (la ricetta dell’”insalata piemontese” davvero semplice) – ed essi avranno un sapore singolare, prezioso e unico. E non di meno il prezzo unico – in Piemonte, in media costa 3-4 euro al grammo (a Mosca – dieci). “Ho più volte portato a casa il tartufo – ma non era così! – Sospirò, il nostro amico da Washington, arrotolando le tagliatelle all’uovo alla forchetta. – Si possono trovare solo in Piemonte. Lungo la strada, non solo è il gusto e l’aroma a svanire, ma anche l’atmosfera. ” Un vino da re Dopo la cena al tartufo storico, anzi no, la festa del tartufo storico, accompagnata da buon vino, abbiamo passato la notte nelle vicinanze – in un tranquillo albergo di campagna Pilone Votivo (S. Eufemia 2a location, Sinio), specializzato in agriturismo, e al mattino siamo andati in visita alle cantine. A dire il vero, anche il giorno precedente, mentre eravamo sulla strada per andare da Filippo, siamo passati per buone zone per il vino, abbiamo testato-degustato i rossi Barolo e Barbaresco, le bianche gemme e il Gavi [vino Docg n.d.t.], ed anche la grappa di Alba, della famosa distilleria Marolo, per non parlare delle piccole ditte a conduzione familiare che ci hanno lasciato l’impressione più forte. I conoscitori del marchio lo conoscono benissimo – Bartolo Mascarello. La carismatica Maria Teresa Mascarello oggi rappresenta una stirpe di vignaioli. Il suo defunto padre, l’ironico signor Bartolo, era conosciuto come “la personificazione del vino Barolo”. Il Barolo, un vino rosso secco prodotto dal nobile vitigno Nebbiolo – è luminoso, robusto, e intenso – è un vino con la grandezza di un re ed è il re dei vini. E Bartolo, un ex partigiano, un uomo da leggenda, ha dato uno stile distintivo, avendo mantenuto le tecniche di lavorazione tradizionali, ed avendo disegnato lui in persona dei bozzetti per le etichette. La loro azienda è situata nel comune di Barolo, per concordare una visita privata – non c’è problema, basta chiamare o scrivere. I piemontesi sono incredibilmente ospitali, e le cantine vi renderanno molto felici. Trovare la cantina di Maria Teresa (Via Roma, 15, Barolo) è davvero facile: “nella stradina a sinistra venendo dalla piazza del mercato”. Sono sicuro che vi piacerà!